UNOxUNO
martedì 11 settembre 2012
1x06 Heart shaped box
Quando tornai a casa dopo la stranissima mattinata scolastica, notai con dispiacere, che le stranezze per quel giorno, non erano ancora finite.
Trovai mia sorella ancora in pigiama, seduta a gambe incrociate sul pavimento del salotto, davanti alla tv e intenta a fissare una scatola a forma di cuore rossa.
Vedevo dall’espressione spaesata sul suo volto che c’era qualcosa che non andava, ma non capivo come quella che aveva tutta l’aria di essere una confezione di cioccolatini, potesse costituire un problema.
“ Hei! Che c’è di nuovo? Giacomino cerca di farsi perdonare il biglietto intimidatorio di ieri?” dissi, cercando di mantenere un tono il più possibile scherzoso, anche se di scherzare , quel giorno, proprio non ne avevo voglia.
Irene si limitò a farmi un cenno, indicandomi il telecomando ai suoi piedi; così, mi avvicinai e lo raccolsi.
Notai che all’interno del lettore era inserito un dvd, così senza porre alcuna domanda, schiacciai il tasto PLAY.
Quello che vidi mi gelò il sangue.
Era l’immagine di un’auto che sfrecciava sotto la pioggia e che poi andava a schiantarsi contro un’altra vettura. E poi c’era una canzone.
Era la stessa canzone che gracchiava alla radio pochi minuti prima dell’incidente e la stessa canzone che mia sorella si era divertita a canticchiare prima che nella mia testa ci fosse solo bianco: “Heart shaped box dei Nirvana” aveva tenuto a precisare quel giorno, quando gli avevo domandato che cosa fosse.
Ricordavo poche cose di quel momento, ma quella melodia che fino a quel giorno era stata per me sconosciuta, era ora stampata nella mia memoria, o almeno in ciò che ne rimaneva.
“ Che significa tutto questo?” chiesi ad Irene ,con la voce tremolante che preannunciava le lacrime;
“Non lo so, mi sono svegliata stamattina ed era dentro questa scatola, appesa al ramo dell’ulivo in giardino.”
“ Ma come appesa al ramo dell’ulivo?”
“ Non lo so!Sono scesa e ho preso la scala, ero convinta che Giacomo avesse architettato un’altra delle sue sorprese, ho visto che dentro il pacchetto c’era un dvd e stavo per andare a guardarlo in sala, ma ho sentito un rumore e sono tornata fuori perché ero convinta che Giacomo fosse venuto a darmi il buon giorno, ma invece …”
“ Invece? Chi c’era Irene? Che hai visto?”
“Nessuno, mi è solo sembrato di vedere una sagoma, un uomo, ma non l’ho visto in faccia. E’ scappato prima che potessi fare qualsiasi cosa!”
“ Ok”, dissi, “tutto questo non è normale, ho seriamente paura adesso! Cosa facciamo?” Ormai non cercavo nemmeno più di nascondere la crisi di nervi che mi assaliva, facevo scorrere le lacrime scaricando tutta la tensione accumulata già dal mattino.
“Non lo so, forse è il caso di avvertire mamma e papà, anche se so che gli prenderà un colpo!”
Detto fatto, quando tornarono a casa, mettemmo al corrente i nostri genitori dell’accaduto di quella mattina, ovviamente tralasciando la parte della scatola e del dvd.
La versione ufficiale era che affacciandosi alla finestra, Irene aveva visto un uomo in giardino, così allarmata era scesa di sotto, ma non aveva visto nessuno anche se la porta della casetta degli attrezzi era aperta.
La reazione che ne scaturì fu peggiore del previsto; Per loro, eravamo già sotto il mirino di una banda professionista di ladri.
Mamma era in preda al panico e girava per casa bloccando porte e finestre, papà aveva già inserito l’allarme cinque volte e chiamato i vicini per allertarli.
Quella sera io e mia sorella riuscimmo ad andare a dormire solo dopo innumerevoli raccomandazioni di chiudere la porta a chiave e assicurare la finestra.
“ Papà rimane sveglio, e abbiamo lasciato la lucetta della cucina accesa. Mi raccomando, se sentite un rumore venite ad avvertirci” ci disse di nuovo mamma, poi ci baciò entrambe ed io e Irene ci avviammo, stanche, verso le rispettive camere.
“ Secondo te chi è che ha messo lì quella scatola?” Chiesi a mia sorella, appoggiando la testa sull’ architrave della porta della sua stanza
“Non ne ho idea, ma mi spaventa … che significa? Vuol dire che qualcuno era lì quel giorno? E anche se fosse? Non c’è logica in tutto ciò! Perché continuano a capitarci cose strane? prima vivevamo una vita del tutto tranquilla …”
“Lo so! Senti, non te l’ho mai chiesto, ma … tu ricordi che qualcuno si è avvicinato dopo l’incidente? Intendo dopo l’impatto, quando ero svenuta.”
“Stai scherzando? C’era mezzo vicinato più la polizia e l’ambulanza!”
“ Si, ma intendo, ti ricordi di qualcuno in particolare? Qualcuno di strano?”
“Mmm … no, perché? Tu si?”
“No... no! Era per chiedere, per cercare di dare una spiegazione a tutto questo.”
Sconcertate e confuse, io e Irene ci augurammo la buona notte come tutte le sere, anche se sapevamo che nessuna delle due avrebbe passato proprio una “buona” nottata.
Entrai in camera e chiusi la porta a chiave poi, esausta, mi buttai sul letto tra le coperte.
Ripensai agli avvenimenti di quel giorno e a tutte le cose che avevo tenute segrete. Odiavo avere dei segreti con la mia famiglia, ma con l’atmosfera che già c’era in casa avevo voluto evitare di raccontare della mia amnesia numero due. In fondo cosa potevo dire di tutta questa storia? “Hei, il giorno che ci siamo schiantate, ho visto uno strano ragazzo con gli occhi grigi che mi fissava, poi l’ho rivisto oggi sotto casa, ma per lo shock sono svenuta e per magia mi sono ritrovata a scuola con una piuma grigia e una poesia di Shakespeare nello zaino.”
Non era credibile nemmeno alle mie orecchie, forse avrei fatto meglio a farmi visitare di nuovo dal dottor e, forse la botta in testa dell’incidente mi aveva causato davvero altri danni oltre l’amnesia.
Seguendo il filo di questi pensieri, mi addormentai e come se fossi ancora sveglia, ripercorsi tutto ciò che avevo fatto quel giorno.
Mi svegliai circa un’ora dopo da un sonno agitato, avevo come la sensazione di essermi dimenticata di fare qualcosa.
Mi sedetti a gambe incrociate sul letto, ancora imbambolata.
D’improvviso mi vennero in mente le raccomandazioni di mia madre: Non avevo chiuso la finestra!
venerdì 11 novembre 2011
1x05 In casa
C'era mancato poco, davvero poco.
Quella mattina ero stato troppo imprudente e lei mi aveva quasi visto in faccia...o forse no...era rimasta priva di sensi per diversi minuti, quindi c'erano buone possibilità che avesse rimosso il nostro incontro, ma non potevo esserne sicuro. Mi ripromisi di fare ancora più attenzione da quel momento e poi, scrollando lievemente la testa come per scacciare il pensiero del pericolo corso, ingranai la prima e mi allontanai dalla scuola di Ileana: avevo ben cinque ore libere prima della fine delle lezioni scolastiche, così decisi di impiegare quel tempo per occuparmi di Irene. Sapevo che, essendo Mercoledì, non sarebbe andata all'università prima delle dieci, quindi tornai a casa , posai l'auto, presi il pacchetto che avevo preparato e raggiunsi a piedi la piccola graziosa villetta delle sorelle Rusciani.
Controllai che non ci fosse nessuno nei paraggi, quindi scavalcai il cancello nel punto in cui si faceva più basso, ovvero dal lato sinistro dell'abitazione, proprio quello che ero solito fare una volta. Notai che, come avevo previsto, la serranda della finestra di Irene era ancora totalmente abbassata e ciò poteva significare solo una cosa: non si era ancora svegliata, ma lo avrebbe fatto di lì a poco, quindi dovevo fare in fretta. Mi diressi verso il grande albero di ulivo al centro del giardino e mi arrampicai fino a raggiungere i rami più alti che erano direttamente visibili dalla finestra di Irene. Sapevo che la prima cosa che faceva quando si alzava la mattina era far entrare la luce del giorno nella sua stanza, rimanendo alla finestra per qualche minuto, quindi ero sicuro che se avessi posizionato bene il pacchetto lo avrebbe visto subito. E poi lo avevo volutamente avvolto con una carta di colore rosso acceso, che non notarlo sarebbe stato impossibile! Lo legai bene con alcuni nastri sempre rossi, mi accertai che fosse ben ancorato al ramo e infine scesi con un balzo. A quel punto sapevo cosa fare: dovevo nascondermi e aspettare che Irene prendesse il regalo che le avevo lasciato. Ricordavo che tenevano la chiave della casetta per gli attrezzi da giardino sotto il vaso delle margherite, controllai e in effetti era ancora là. Velocemente aprii la porta e mi feci posto tra un cumulo di vecchi utensili per la cura delle piante, tenendo d'occhio contemporaneamente l'ulivo attraverso la piccola finestra della casetta.
Dopo circa quindici minuti vidi finalmente la serranda alzarsi e Irene affacciarsi come al solito. Da dove ero non riuscii a vedere l' espressione del viso, ma capii che si era accorta del pacco rosso da come si sporse oltre il davanzale...per un momento temetti che potesse cadere! Poi però con uno scatto rientrò subito in casa e dopo pochissimi secondi già la vidi in giardino munita di scala da lavoro a cercare di sciogliere i nodi che avevo fatto ai nastri. Quando finalmente ci riuscì tenne il pacchetto tra le mani osservandolo per alcuni minuti, si guardò intorno e poi strappò l'appariscente carta rossa scoprendone il contenuto: una scatola a forma di cuore che aveva al suo interno un semplice dvd. Appoggiò la scala al muro e rientrò correndo in casa. Avrei voluto continuare ad osservare le sue reazioni, ma non potevo farlo da dove mi ero nascosto, così sgattaiolai fuori dal mio rifugio e furtivamente tornai al cancello per oltrepassarlo di nuovo. Nel momento stesso in cui atterrai dall'altra parte della recinzione, però, mi resi conto di aver commesso un piccolo errore e dovetti ammettere di esser stato imprudente per la seconda volta in una giornata: avevo lasciato la chiave della casetta in giardino alla porta e mi ero dimenticato di riporla sotto il vaso. Stavo per tornare a mettere a posto le cose, ma non feci in tempo poichè vidi Irene uscire di nuovo in giardino e posare uno sguardo interrogativo su di me: mi aveva visto.
Quella mattina ero stato troppo imprudente e lei mi aveva quasi visto in faccia...o forse no...era rimasta priva di sensi per diversi minuti, quindi c'erano buone possibilità che avesse rimosso il nostro incontro, ma non potevo esserne sicuro. Mi ripromisi di fare ancora più attenzione da quel momento e poi, scrollando lievemente la testa come per scacciare il pensiero del pericolo corso, ingranai la prima e mi allontanai dalla scuola di Ileana: avevo ben cinque ore libere prima della fine delle lezioni scolastiche, così decisi di impiegare quel tempo per occuparmi di Irene. Sapevo che, essendo Mercoledì, non sarebbe andata all'università prima delle dieci, quindi tornai a casa , posai l'auto, presi il pacchetto che avevo preparato e raggiunsi a piedi la piccola graziosa villetta delle sorelle Rusciani.
Controllai che non ci fosse nessuno nei paraggi, quindi scavalcai il cancello nel punto in cui si faceva più basso, ovvero dal lato sinistro dell'abitazione, proprio quello che ero solito fare una volta. Notai che, come avevo previsto, la serranda della finestra di Irene era ancora totalmente abbassata e ciò poteva significare solo una cosa: non si era ancora svegliata, ma lo avrebbe fatto di lì a poco, quindi dovevo fare in fretta. Mi diressi verso il grande albero di ulivo al centro del giardino e mi arrampicai fino a raggiungere i rami più alti che erano direttamente visibili dalla finestra di Irene. Sapevo che la prima cosa che faceva quando si alzava la mattina era far entrare la luce del giorno nella sua stanza, rimanendo alla finestra per qualche minuto, quindi ero sicuro che se avessi posizionato bene il pacchetto lo avrebbe visto subito. E poi lo avevo volutamente avvolto con una carta di colore rosso acceso, che non notarlo sarebbe stato impossibile! Lo legai bene con alcuni nastri sempre rossi, mi accertai che fosse ben ancorato al ramo e infine scesi con un balzo. A quel punto sapevo cosa fare: dovevo nascondermi e aspettare che Irene prendesse il regalo che le avevo lasciato. Ricordavo che tenevano la chiave della casetta per gli attrezzi da giardino sotto il vaso delle margherite, controllai e in effetti era ancora là. Velocemente aprii la porta e mi feci posto tra un cumulo di vecchi utensili per la cura delle piante, tenendo d'occhio contemporaneamente l'ulivo attraverso la piccola finestra della casetta.
Dopo circa quindici minuti vidi finalmente la serranda alzarsi e Irene affacciarsi come al solito. Da dove ero non riuscii a vedere l' espressione del viso, ma capii che si era accorta del pacco rosso da come si sporse oltre il davanzale...per un momento temetti che potesse cadere! Poi però con uno scatto rientrò subito in casa e dopo pochissimi secondi già la vidi in giardino munita di scala da lavoro a cercare di sciogliere i nodi che avevo fatto ai nastri. Quando finalmente ci riuscì tenne il pacchetto tra le mani osservandolo per alcuni minuti, si guardò intorno e poi strappò l'appariscente carta rossa scoprendone il contenuto: una scatola a forma di cuore che aveva al suo interno un semplice dvd. Appoggiò la scala al muro e rientrò correndo in casa. Avrei voluto continuare ad osservare le sue reazioni, ma non potevo farlo da dove mi ero nascosto, così sgattaiolai fuori dal mio rifugio e furtivamente tornai al cancello per oltrepassarlo di nuovo. Nel momento stesso in cui atterrai dall'altra parte della recinzione, però, mi resi conto di aver commesso un piccolo errore e dovetti ammettere di esser stato imprudente per la seconda volta in una giornata: avevo lasciato la chiave della casetta in giardino alla porta e mi ero dimenticato di riporla sotto il vaso. Stavo per tornare a mettere a posto le cose, ma non feci in tempo poichè vidi Irene uscire di nuovo in giardino e posare uno sguardo interrogativo su di me: mi aveva visto.
martedì 1 novembre 2011
1X04 Come una piuma
La campanella mi fece sobbalzare, aprii gli occhi di scatto.
Ero a scuola, nella mia classe e seduta al mio solito posto. L'aula era ancora vuota, gli altri studenti si stavano in quel momento pigramente avviando verso le rispettive lezioni. Tutto sembrava esattamente come ogni giorno, eccetto che per un piccolo particolare: come diamine ero arrivata lì seduta?
Fantastico, una sola amnesia non era abbastanza! Cominciai disorientata a ricapitolare le azioni che ricordavo di quella mattina: il bacio di mia madre prima di uscire di casa, la passeggiata verso la fermata dell'autobus e poi...AH! Quegli occhi! Avevo di nuovo incrociato quello strano sguardo, ma stavolta non solo nei miei ricordi.
Il pensiero mi fece sussultare di nuovo sulla sedia e provai ancora quella sensazione di mancamento che poco prima mi aveva portata allo svenimento.
<< Ehi Ile!>> squillò la mia energica compagna di banco Samantha, <<Insomma..capisco studiare, ma addirittura metterci le tende a scuola no!>>. <<C..c..ciao Sammy!>> le dissi simulando entusiasmo, cercando nel frattempo di riprendere il filo delle mie riflessioni. Senza che me ne fossi accorta, la classe si era velocemente ripopolata e di lì a poco sarebbe cominciata la lezione.
<<A giudicare dalle tue occhiaie direi che hai passato la notte in bianco a studiare, vero?>> continuò Sammy, indicandosi la palpebra inferiore con l'indice. <<Ehm..si, è stata decisamente una notte senza sonno..>> <<Bene! Allora non ti dispiacerà darmi una mano con il compito di letteratura inglese, posso contarci?>> <<Oh! Giusto...il compito!>> <<Eh si, hai presente? Quelle atroci domande cui devi rispondere per forza se vuoi avere salva la media scolastica o, nel mio caso, la vita. Testona! Ma che ti hanno fatto stamattina?>>.
Bella domanda, visto che non sapevo neppure come fossi arrivata al mio banco.
Non riuscivo ad adattarmi alla realtà, la scuola, i compagni...era come se non li vedessi da una vita, tanto erano stati fitti e strani gli eventi capitati. Ormai ero abituata alle stranezze, era dal giorno dell'incidente che a me e ad Irene ce ne capitavano, ma fra tutte questa era di gran lunga la peggiore.
La campanella suonò di nuovo e il professore entrò in aula pronto a torturarci con il fatidico compito su Shakespeare.
Non ero sicura di potercela fare, mi limitavo a fissare il titolo sul foglio, "Amleto", ma non riuscivo a concentrarmi perchè quegli occhi si intromettevano in ogni mio pensiero, lasciando poco spazio al resto.
Mi dissi però che qualcosa avrei dovuto combinare, così, svogliatamente, presi lo zaino dal pavimento e lo aprii in cerca di una penna con cui cominciare a scrivere.
Quello che vi trovai però mi lasciò ancora più atterrita, vanificando ogni mio sforzo di concentrazione. Nella borsa c'era una lunga piuma grigia cui era legato un biglietto che riportava proprio una citazione shakespeariana: <<Ricordarti? Si, povero spirito, finchè la memoria ha un posto in questo globo sconvolto>>.
Ero a scuola, nella mia classe e seduta al mio solito posto. L'aula era ancora vuota, gli altri studenti si stavano in quel momento pigramente avviando verso le rispettive lezioni. Tutto sembrava esattamente come ogni giorno, eccetto che per un piccolo particolare: come diamine ero arrivata lì seduta?
Fantastico, una sola amnesia non era abbastanza! Cominciai disorientata a ricapitolare le azioni che ricordavo di quella mattina: il bacio di mia madre prima di uscire di casa, la passeggiata verso la fermata dell'autobus e poi...AH! Quegli occhi! Avevo di nuovo incrociato quello strano sguardo, ma stavolta non solo nei miei ricordi.
Il pensiero mi fece sussultare di nuovo sulla sedia e provai ancora quella sensazione di mancamento che poco prima mi aveva portata allo svenimento.
<< Ehi Ile!>> squillò la mia energica compagna di banco Samantha, <<Insomma..capisco studiare, ma addirittura metterci le tende a scuola no!>>. <<C..c..ciao Sammy!>> le dissi simulando entusiasmo, cercando nel frattempo di riprendere il filo delle mie riflessioni. Senza che me ne fossi accorta, la classe si era velocemente ripopolata e di lì a poco sarebbe cominciata la lezione.
<<A giudicare dalle tue occhiaie direi che hai passato la notte in bianco a studiare, vero?>> continuò Sammy, indicandosi la palpebra inferiore con l'indice. <<Ehm..si, è stata decisamente una notte senza sonno..>> <<Bene! Allora non ti dispiacerà darmi una mano con il compito di letteratura inglese, posso contarci?>> <<Oh! Giusto...il compito!>> <<Eh si, hai presente? Quelle atroci domande cui devi rispondere per forza se vuoi avere salva la media scolastica o, nel mio caso, la vita. Testona! Ma che ti hanno fatto stamattina?>>.
Bella domanda, visto che non sapevo neppure come fossi arrivata al mio banco.
Non riuscivo ad adattarmi alla realtà, la scuola, i compagni...era come se non li vedessi da una vita, tanto erano stati fitti e strani gli eventi capitati. Ormai ero abituata alle stranezze, era dal giorno dell'incidente che a me e ad Irene ce ne capitavano, ma fra tutte questa era di gran lunga la peggiore.
La campanella suonò di nuovo e il professore entrò in aula pronto a torturarci con il fatidico compito su Shakespeare.
Non ero sicura di potercela fare, mi limitavo a fissare il titolo sul foglio, "Amleto", ma non riuscivo a concentrarmi perchè quegli occhi si intromettevano in ogni mio pensiero, lasciando poco spazio al resto.
Mi dissi però che qualcosa avrei dovuto combinare, così, svogliatamente, presi lo zaino dal pavimento e lo aprii in cerca di una penna con cui cominciare a scrivere.
Quello che vi trovai però mi lasciò ancora più atterrita, vanificando ogni mio sforzo di concentrazione. Nella borsa c'era una lunga piuma grigia cui era legato un biglietto che riportava proprio una citazione shakespeariana: <<Ricordarti? Si, povero spirito, finchè la memoria ha un posto in questo globo sconvolto>>.
lunedì 31 ottobre 2011
1X03 Bianco
Riparlare del giorno dell'incidente mi lasciava sempre addosso un senso di oppressione, così quella sera mi trascinai fuori dalla camera di mia sorella particolarmente angosciata e mi accasciai sul letto, stanca.
Avevo la testa affollata di ricordi di quel giorno, di luci e rumori troppo forti, quindi chiusi gli occhi e mi infilai sotto le coperte, sprofondando fra le lenzuola fino alle orecchie, tentando invano di scacciare i brutti pensieri.
Senza neanche rendermene conto, qualche istante dopo non ero più nella mia stanza ma in macchina e vicino a me, al volante, c'era mia sorella Irene, tutta presa dalle parole di una canzone che non conoscevo. Io invece ero intenta a guardare, fuori dal finestrino, la pioggia che cadeva pesante rigando il vetro. Le gocce erano così grandi da potervi vedere riflesso il mio viso, mentre il paesaggio dall'altra parte del vetro sembrava sciolto dalla forte pioggia, come fosse fatto di cera.
Irene mi fece una domanda, abbassando distrattamente il volume della radio ed io stavo per rispondere, ma all'improvviso sentii una forte stretta al torace che mi bloccò il respiro. Mi voltai e vidi Irene stringere il volante e urlare in preda al panico. La pioggia faceva slittare le ruote dell'auto che non accennava minimamente a fermarsi. All'improvviso le luci di un'altra auto mi accecarono, sentii un colpo assordante e poi... il nulla... ero immersa nel nulla, inglobata da un'enorme macchia bianca, circondata solo di bianco. Provavo ad aprire gli occhi, ma c'era troppa luce. Con uno sforzo enorme riuscii a dischiudere leggermente le palpebre e fu allora che li vidi: due occhi grandi e imploranti, due enormi occhi grigi mi stavano pregando di non andare, ma il bianco mi risucchiò a sè, portandomi via da quello sguardo.
Mi svegliai di colpo, con la schiena ricoperta da un sottile strato di sudore e il cuore in gola. Mi alzai, scesi in cucina e bevvi un po' d'acqua, ma lanciando un'occhiata veloce all'orologio appeso sopra al lavandino mi accorsi che erano le quattro e trenta del mattino e ciò voleva dire che mancavano ancora quattro ore per la scuola.
La scuola...sembrava una realtà così distante! Nella testa avevo ancora il sogno e l'incidente.
Erano passati molti mesi ormai e ancora non riuscivo a dimenticare, o meglio a ricordare.
L'unica cosa chiara era il bianco e poi la stanza d'ospedale, anch'essa bianca, qualche giorno dopo.
Ricordavo di aver aperto gli occhi e di aver visto i miei genitori e mia sorella che se l'era cavata meglio di me a quanto diceva, anche se credo che il senso di colpa le facesse più male di qualsiasi frattura.
Ricordo che tutti mi stavano attorno e mi accudivano: la causa? Un trauma cranico con conseguente amnesia parziale. In poche parole un bel colpo alla testa si era portato via un mese della mia vita! Tutto ciò che era accaduto nel mese precedente al giorno dell'incidente era sparito, mi sentivo come un computer da cui era stato eliminato un file e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a recuperarlo.
Ovviamente Irene mi aveva poi messa al corrente dei fatti principali accaduti in quel mese, ma non so perchè avevo sempre la sensazione di essermi persa qualcosa, qualcosa di molto importante.
Frugai tra i ricordi, tentai di ripercorrere la mia vita fino a quel punto, ma tutto ciò che vi vedevo era solo e ancora bianco.
Tornai nella mia stanza, certa che non sarei stata capace di riprender sonno.
Mi sedetti davanti allo specchio, presi la spazzola dalla scrivania e cominciai a pettinare i miei capelli arruffati dall'incubo di quella notte, illudendomi che il massaggio provocato dalle morbide setole sul capo potesse risvegliare ricordi perduti.
Quando mia madre entrò in camera per la sveglia mattutina quel giorno, mi trovò già in piedi e pronta per uscire, <<Ileana....sembra che i tuoi capelli siano ancora più biondi oggi! >> mi disse allegra, baciandomi sulla fronte.
Camminavo verso la fermata dell'autobus ancora pensierosa, quando all'improvviso urtai contro qualcosa, o meglio qualcuno. << Mi scusi!>> dissi immediatamente, alzando lo sguardo alla ricerca di un viso cui rivolgere quelle parole, ma ciò che vidi mi ammutolì all'istante: nascosti sotto una cascata di ricci neri, quei due occhi grigi mi fissavano proprio come un anno prima. E crollai a terra.
Avevo la testa affollata di ricordi di quel giorno, di luci e rumori troppo forti, quindi chiusi gli occhi e mi infilai sotto le coperte, sprofondando fra le lenzuola fino alle orecchie, tentando invano di scacciare i brutti pensieri.
Senza neanche rendermene conto, qualche istante dopo non ero più nella mia stanza ma in macchina e vicino a me, al volante, c'era mia sorella Irene, tutta presa dalle parole di una canzone che non conoscevo. Io invece ero intenta a guardare, fuori dal finestrino, la pioggia che cadeva pesante rigando il vetro. Le gocce erano così grandi da potervi vedere riflesso il mio viso, mentre il paesaggio dall'altra parte del vetro sembrava sciolto dalla forte pioggia, come fosse fatto di cera.
Irene mi fece una domanda, abbassando distrattamente il volume della radio ed io stavo per rispondere, ma all'improvviso sentii una forte stretta al torace che mi bloccò il respiro. Mi voltai e vidi Irene stringere il volante e urlare in preda al panico. La pioggia faceva slittare le ruote dell'auto che non accennava minimamente a fermarsi. All'improvviso le luci di un'altra auto mi accecarono, sentii un colpo assordante e poi... il nulla... ero immersa nel nulla, inglobata da un'enorme macchia bianca, circondata solo di bianco. Provavo ad aprire gli occhi, ma c'era troppa luce. Con uno sforzo enorme riuscii a dischiudere leggermente le palpebre e fu allora che li vidi: due occhi grandi e imploranti, due enormi occhi grigi mi stavano pregando di non andare, ma il bianco mi risucchiò a sè, portandomi via da quello sguardo.
Mi svegliai di colpo, con la schiena ricoperta da un sottile strato di sudore e il cuore in gola. Mi alzai, scesi in cucina e bevvi un po' d'acqua, ma lanciando un'occhiata veloce all'orologio appeso sopra al lavandino mi accorsi che erano le quattro e trenta del mattino e ciò voleva dire che mancavano ancora quattro ore per la scuola.
La scuola...sembrava una realtà così distante! Nella testa avevo ancora il sogno e l'incidente.
Erano passati molti mesi ormai e ancora non riuscivo a dimenticare, o meglio a ricordare.
L'unica cosa chiara era il bianco e poi la stanza d'ospedale, anch'essa bianca, qualche giorno dopo.
Ricordavo di aver aperto gli occhi e di aver visto i miei genitori e mia sorella che se l'era cavata meglio di me a quanto diceva, anche se credo che il senso di colpa le facesse più male di qualsiasi frattura.
Ricordo che tutti mi stavano attorno e mi accudivano: la causa? Un trauma cranico con conseguente amnesia parziale. In poche parole un bel colpo alla testa si era portato via un mese della mia vita! Tutto ciò che era accaduto nel mese precedente al giorno dell'incidente era sparito, mi sentivo come un computer da cui era stato eliminato un file e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a recuperarlo.
Ovviamente Irene mi aveva poi messa al corrente dei fatti principali accaduti in quel mese, ma non so perchè avevo sempre la sensazione di essermi persa qualcosa, qualcosa di molto importante.
Frugai tra i ricordi, tentai di ripercorrere la mia vita fino a quel punto, ma tutto ciò che vi vedevo era solo e ancora bianco.
Tornai nella mia stanza, certa che non sarei stata capace di riprender sonno.
Mi sedetti davanti allo specchio, presi la spazzola dalla scrivania e cominciai a pettinare i miei capelli arruffati dall'incubo di quella notte, illudendomi che il massaggio provocato dalle morbide setole sul capo potesse risvegliare ricordi perduti.
Quando mia madre entrò in camera per la sveglia mattutina quel giorno, mi trovò già in piedi e pronta per uscire, <<Ileana....sembra che i tuoi capelli siano ancora più biondi oggi! >> mi disse allegra, baciandomi sulla fronte.
Camminavo verso la fermata dell'autobus ancora pensierosa, quando all'improvviso urtai contro qualcosa, o meglio qualcuno. << Mi scusi!>> dissi immediatamente, alzando lo sguardo alla ricerca di un viso cui rivolgere quelle parole, ma ciò che vidi mi ammutolì all'istante: nascosti sotto una cascata di ricci neri, quei due occhi grigi mi fissavano proprio come un anno prima. E crollai a terra.
martedì 11 ottobre 2011
1X02 Prima di dormire
Mi lasciai cadere a peso morto sul letto e il piccolo foglio rettangolare su cui erano scritte quelle parole mi cadde di mano.
Nei due minuti che seguirono mi ritrovai a pensare alle cose più assurde, a come quell'uomo poteva aver trovato il mio indirizzo, a come aveva fatto a seguirmi, arrivai perfino a chiedermi se lo conoscessi già.
Mentre mi sforzavo per cercare di ricordare dove lo avessi già visto, qualcosa colpì la finestra della mia camera. Balzai in piedi in un lampo e mi avvicinai in punta di piedi al davanzale, ma la paura che ancora irrigidiva ogni singolo muscolo del mio corpo mi impedì di aprire la finestra e controllare cos'era stato. Dopo qualche secondo di esitazione udii di nuovo quel tonfo contro i vetri, ma stavolta vidi chiaramente che si trattava di un sassolino.
La mia stanza affacciava sul retro della nostra piccola casetta, quindi capii che doveva esserci qualcuno in giardino.
Feci un bel respiro, ripresi il controllo della muscolatura, allungai la mano e l'appoggiai sull' anta destra della finestra che emise il solito suono scricchiolante nell'aprirsi. Mi sporsi leggermente e, nonostante il buio, riuscii a vederlo: teneva in una mano un mucchietto di altri sassolini e nell'altra una rosa tutta infiocchettata. Quando si accorse che mi ero affacciata gridò: <<Sorpresa!!>>. <<Mi hai quasi provocato un infarto, lo sai?>> dissi rimproverandolo in modo scherzoso. Giacomo non era mai stato un tipo da sorprese, era più del genere "monotono e prevedibile". Gli avevo sempre fatto notare questo lato noioso del suo carattere e molte volte avevo sperato che mi sorprendesse in qualche modo, ma certamente non quella sera!
<<Credi che i tuoi capelli da sciolti ci arrivano fino a qui o devo arrampicarmi da solo fin lassù?>> <<Divertente...dai, vieni che ti apro la porta!>> gli risposi fingendo impassibilità di fronte a quel suo gesto di galanteria che ovviamente mi aveva sciolto il cuore.
Scendendo le scale sentii provenire dalla cucina la voce di Ileana che mi urlava: <<Quindi preparo per tre?>>, <<Si!>> le dissi senza pensarci. Aveva sentito Giacomo introdursi furtivamente nel nostro giardino e scagliare sassolini contro la mia finestra o era stata addirittura la sua complice?
Aprii la porta e mi ritrovai la rosa rossa infiocchettata a due centimetri dal naso, <<Grazie mio eroe!>> scherzai, continuando sulla scia del cavalleresco mentre afferravo il bellissimo fiore. Stavo giusto per voltarmi verso l'entrata di casa, quando mi sorprese di nuovo afferrandomi e togliendomi il fiato con un bacio.
<<Come mai sei già qui? Non che mi dispiaccia, ovviamente..>> ero ansiosa di chiederglielo da quando lo avevo visto nel mio giardino, <<Siamo riusciti a risolvere con la controparte senza andare in tribunale, ma ho deciso di non dirti niente e di farti una sorpresa, visto che mi accusi sempre di non fartele!>> replicò giustamente, ma poi aggiunse: <<Però non ce l'ho fatta a resistere fino alla fine e ho voluto darti un indizio...>>. <<Ma allora era tuo il biglietto??>> chiesi sentendomi finalmente sollevata, ma anche un po' sciocca. <<Certo, non lo avevi capito?>> <<Veramente no, sembrava più la minaccia di un serial killer che un biglietto d'amore!>> e insieme ridemmo di gusto per circa un quarto d'ora, quando finalmente mia sorella riuscì a mettere insieme quanto di commestibile avesse trovato in casa e ci servì la cena.
Più tardi, quando Giacomo se n'era già andato ed io stavo per mettermi a letto, Ileana entrò nella mia stanza e si sedette accanto a me sul letto. <<Tutto bene stasera?>> mi domandò, <<Si, perchè?>> purtroppo sapeva sempre quando c'era qualcosa che non andava, me lo leggeva dentro. <<Eri strana prima a cena e sono sicura che non era per la sorpresa di Giacomino...>> insinuò, sorridendo dolcemente. <<Si, infatti...mi è successo di nuovo...>> <<Ah...e come?>> mi chiese con tono preoccupato, <<C'era un uomo che mi fissava in autobus stamattina e quando sono arrivata all'università era ancora dietro di me...mi sono detta di non farci caso, ma poi quando ho visto quel biglietto stasera ho frainteso e mi ha preso il panico! Sono proprio ridicola!>>. <<Non dire così>> mi consolò, << a me qualche giorno fa è successa la stessa cosa, lo sai, e sai anche che è normale, insomma, è passato solo un anno dall'incidente...>>.
Già, l'incidente. Una settimana dopo sarebbe stato già un anno. Forse era stato proprio quell'evento a cambiare per sempre le nostre vite, il problema era che allora ancora non sapevamo se il cambiamento sarebbe stato positivo o irrimediabilmente negativo.
Nei due minuti che seguirono mi ritrovai a pensare alle cose più assurde, a come quell'uomo poteva aver trovato il mio indirizzo, a come aveva fatto a seguirmi, arrivai perfino a chiedermi se lo conoscessi già.
Mentre mi sforzavo per cercare di ricordare dove lo avessi già visto, qualcosa colpì la finestra della mia camera. Balzai in piedi in un lampo e mi avvicinai in punta di piedi al davanzale, ma la paura che ancora irrigidiva ogni singolo muscolo del mio corpo mi impedì di aprire la finestra e controllare cos'era stato. Dopo qualche secondo di esitazione udii di nuovo quel tonfo contro i vetri, ma stavolta vidi chiaramente che si trattava di un sassolino.
La mia stanza affacciava sul retro della nostra piccola casetta, quindi capii che doveva esserci qualcuno in giardino.
Feci un bel respiro, ripresi il controllo della muscolatura, allungai la mano e l'appoggiai sull' anta destra della finestra che emise il solito suono scricchiolante nell'aprirsi. Mi sporsi leggermente e, nonostante il buio, riuscii a vederlo: teneva in una mano un mucchietto di altri sassolini e nell'altra una rosa tutta infiocchettata. Quando si accorse che mi ero affacciata gridò: <<Sorpresa!!>>. <<Mi hai quasi provocato un infarto, lo sai?>> dissi rimproverandolo in modo scherzoso. Giacomo non era mai stato un tipo da sorprese, era più del genere "monotono e prevedibile". Gli avevo sempre fatto notare questo lato noioso del suo carattere e molte volte avevo sperato che mi sorprendesse in qualche modo, ma certamente non quella sera!
<<Credi che i tuoi capelli da sciolti ci arrivano fino a qui o devo arrampicarmi da solo fin lassù?>> <<Divertente...dai, vieni che ti apro la porta!>> gli risposi fingendo impassibilità di fronte a quel suo gesto di galanteria che ovviamente mi aveva sciolto il cuore.
Scendendo le scale sentii provenire dalla cucina la voce di Ileana che mi urlava: <<Quindi preparo per tre?>>, <<Si!>> le dissi senza pensarci. Aveva sentito Giacomo introdursi furtivamente nel nostro giardino e scagliare sassolini contro la mia finestra o era stata addirittura la sua complice?
Aprii la porta e mi ritrovai la rosa rossa infiocchettata a due centimetri dal naso, <<Grazie mio eroe!>> scherzai, continuando sulla scia del cavalleresco mentre afferravo il bellissimo fiore. Stavo giusto per voltarmi verso l'entrata di casa, quando mi sorprese di nuovo afferrandomi e togliendomi il fiato con un bacio.
<<Come mai sei già qui? Non che mi dispiaccia, ovviamente..>> ero ansiosa di chiederglielo da quando lo avevo visto nel mio giardino, <<Siamo riusciti a risolvere con la controparte senza andare in tribunale, ma ho deciso di non dirti niente e di farti una sorpresa, visto che mi accusi sempre di non fartele!>> replicò giustamente, ma poi aggiunse: <<Però non ce l'ho fatta a resistere fino alla fine e ho voluto darti un indizio...>>. <<Ma allora era tuo il biglietto??>> chiesi sentendomi finalmente sollevata, ma anche un po' sciocca. <<Certo, non lo avevi capito?>> <<Veramente no, sembrava più la minaccia di un serial killer che un biglietto d'amore!>> e insieme ridemmo di gusto per circa un quarto d'ora, quando finalmente mia sorella riuscì a mettere insieme quanto di commestibile avesse trovato in casa e ci servì la cena.
Più tardi, quando Giacomo se n'era già andato ed io stavo per mettermi a letto, Ileana entrò nella mia stanza e si sedette accanto a me sul letto. <<Tutto bene stasera?>> mi domandò, <<Si, perchè?>> purtroppo sapeva sempre quando c'era qualcosa che non andava, me lo leggeva dentro. <<Eri strana prima a cena e sono sicura che non era per la sorpresa di Giacomino...>> insinuò, sorridendo dolcemente. <<Si, infatti...mi è successo di nuovo...>> <<Ah...e come?>> mi chiese con tono preoccupato, <<C'era un uomo che mi fissava in autobus stamattina e quando sono arrivata all'università era ancora dietro di me...mi sono detta di non farci caso, ma poi quando ho visto quel biglietto stasera ho frainteso e mi ha preso il panico! Sono proprio ridicola!>>. <<Non dire così>> mi consolò, << a me qualche giorno fa è successa la stessa cosa, lo sai, e sai anche che è normale, insomma, è passato solo un anno dall'incidente...>>.
Già, l'incidente. Una settimana dopo sarebbe stato già un anno. Forse era stato proprio quell'evento a cambiare per sempre le nostre vite, il problema era che allora ancora non sapevamo se il cambiamento sarebbe stato positivo o irrimediabilmente negativo.
sabato 1 ottobre 2011
1X01 Una giornata come tante
Non mi era mai piaciuto viaggiare in autobus; odiavo dover uscire di casa ore prima per non rischiare di perderlo, odiavo le corse frenetiche cui ero costretta quando capivo che si, stavo per perderlo, ma soprattutto odiavo i sedili impregnati di quel fetore tipico di quando più odori si stratificano uno sopra l'altro.
C'era una cosa però che mi piaceva fare quelle poche volte in cui la mia cara e adorata macchinina faceva i capricci e mi costringeva a servirmi del mezzo pubblico: inventare. Mi divertivo ad osservare gli altri passeggeri e ad immaginare per ognuno una vita, una professione e il motivo che l'avesse spinto a prendere l'autobus quel giorno.
Una volta, durante uno dei nostri primi appuntamenti, avevo raccontato del mio "gioco del passeggero" anche a Giacomo e lui aveva reagito in modo del tutto inaspettato: non si era messo a ridere nè a prendermi in giro, ma aveva semplicemente detto col suo solito tono dolce e un po' insicuro <<Voglio provare anch'io!>>.
Da allora il "mio" strano giochetto era diventato il "nostro" gioco di coppia preferito. Ed era proprio quello che stavamo facendo in quella soleggiata mattina di Settembre, anche se per la prima volta con una variante: eravamo a telefono. Io avevo appena messo piede sul bus linea B, il primo di una serie che mi avrebbe condotta dritta alla facoltà di lettere, lui invece era a Roma già da una settimana per una delle sue prime cause da assistente avvocato. Da quando c'eravamo messi insieme, un anno e tre mesi prima, non eravamo mai stati tanto tempo separati e la cosa, per quanto tentassi di nasconderlo, mi pesava abbastanza.
<<Irene ci sei?>> chiese con tono preoccupato Giacomo dall'altra parte del telefono, <<Si, scusa amore...che stavamo dicendo?>> gli risposi fingendo disinvoltura dopo essermi di nuovo persa nei miei pensieri. <<Mi stavi descrivendo la signora col cappello che parla da sola...ho già un finale perfetto per la sua storia!>>, <<Ah, si...>> dissi, ma in realtà proprio qualche istante prima la mia attenzione era caduta su un altro passeggero, un uomo in giacca e cravatta e dai capelli mossi e scuri che continuava a fissarmi.
<<C'è un tipo che non la smette di guardarmi!>> dissi, tentando di sembrare più indignata che preoccupata, <<E tu digli che sei al telefono col tuo ragazzo!>> mi rispose in tono scherzoso, il che mi fece capire che ero stata brava a camuffare col tono di voce il senso d'inquietudine che quello sguardo addosso mi provocava. <<Si, certo, e magari gli dico anche che vuoi fare a pugni via cellulare!>>, <<No questo no, lo sai che non sono un tipo violento!>> continuò sempre scherzando. <<Ora vado, sono arrivata alla stazione e devo scendere. Ci vediamo Sabato allora?>> <<Penso di si. Salutami il "guardone"!>> <<Sarà fatto!>> dissi prima di mandargli un bacio e riagganciare.
Alla stazione controllai l'orario del prossimo autobus, ma subito mi resi conto, con grande sconforto, di averlo perso. Mi avviai così verso la fermata del Mini Metrò, un singolare mezzo di trasporto pubblico caratteristico della città di Perugia, a metà tra la metropolitana e il bruco mela.
Dopo essere scesa e aver fatto un tratto di strada a piedi stavo finalmente per varcare la soglia della facoltà, quando, con la coda dell'occhio, notai l'uomo che prima mi fissava alle mie spalle.
Decisi comunque di non farci caso, probabilmente ero solo la solita paranoica, e mi diressi a lezione, proprio come se non avessi notato nulla.
La giornata universitaria poi trascorse normalmente e lo strano incontro di quella mattina non mi tornò in mente fino alla sera, quando tornai a casa e trovai Ileana, la mia sorellina sedicenne, intenta a preparare la cena. <<Che succede Ily? La fine del mondo è davvero così vicina?>> la presi in giro, come ero solita fare quando si metteva ai fornelli <<Spiritosa, mamma e papà sono a cena dai loro amici stasera e visto che non tornavi...>> <<Hai deciso di mandare a fuoco la cucina per attirare la mia attenzione!>> la provocai, rubandole uno dei cubetti di formaggio che stava tagliando.
<<Vedo che sei di buon umore! Forse c'entra qualcosa il fatto che Giacomo sta tornando?>> insinuò, <<Veramente torna Sabato, se tutto va bene!>> risposi con fare scocciato. <<Ah...ma allora il biglietto...?>> <<Quale biglietto?>> chiesi curiosissima, <<C'era un biglietto per te oggi nella cassetta della posta, te l'ho lasciato sulla scrivania>>.
Senza indagare oltre, salii di corsa le due rampe di scale che portavano al piano di sopra dove si trovavano le camere, accesi la luce della mia stanza e presi il biglietto. Non era scritto a mano, ma stampato, e nel momento stesso in cui lessi quelle parole sentii il sangue affluirmi alle guance e le ginocchia deboli: <<Sono più vicino di quanto pensi.>> c'era scritto.
C'era una cosa però che mi piaceva fare quelle poche volte in cui la mia cara e adorata macchinina faceva i capricci e mi costringeva a servirmi del mezzo pubblico: inventare. Mi divertivo ad osservare gli altri passeggeri e ad immaginare per ognuno una vita, una professione e il motivo che l'avesse spinto a prendere l'autobus quel giorno.
Una volta, durante uno dei nostri primi appuntamenti, avevo raccontato del mio "gioco del passeggero" anche a Giacomo e lui aveva reagito in modo del tutto inaspettato: non si era messo a ridere nè a prendermi in giro, ma aveva semplicemente detto col suo solito tono dolce e un po' insicuro <<Voglio provare anch'io!>>.
Da allora il "mio" strano giochetto era diventato il "nostro" gioco di coppia preferito. Ed era proprio quello che stavamo facendo in quella soleggiata mattina di Settembre, anche se per la prima volta con una variante: eravamo a telefono. Io avevo appena messo piede sul bus linea B, il primo di una serie che mi avrebbe condotta dritta alla facoltà di lettere, lui invece era a Roma già da una settimana per una delle sue prime cause da assistente avvocato. Da quando c'eravamo messi insieme, un anno e tre mesi prima, non eravamo mai stati tanto tempo separati e la cosa, per quanto tentassi di nasconderlo, mi pesava abbastanza.
<<Irene ci sei?>> chiese con tono preoccupato Giacomo dall'altra parte del telefono, <<Si, scusa amore...che stavamo dicendo?>> gli risposi fingendo disinvoltura dopo essermi di nuovo persa nei miei pensieri. <<Mi stavi descrivendo la signora col cappello che parla da sola...ho già un finale perfetto per la sua storia!>>, <<Ah, si...>> dissi, ma in realtà proprio qualche istante prima la mia attenzione era caduta su un altro passeggero, un uomo in giacca e cravatta e dai capelli mossi e scuri che continuava a fissarmi.
<<C'è un tipo che non la smette di guardarmi!>> dissi, tentando di sembrare più indignata che preoccupata, <<E tu digli che sei al telefono col tuo ragazzo!>> mi rispose in tono scherzoso, il che mi fece capire che ero stata brava a camuffare col tono di voce il senso d'inquietudine che quello sguardo addosso mi provocava. <<Si, certo, e magari gli dico anche che vuoi fare a pugni via cellulare!>>, <<No questo no, lo sai che non sono un tipo violento!>> continuò sempre scherzando. <<Ora vado, sono arrivata alla stazione e devo scendere. Ci vediamo Sabato allora?>> <<Penso di si. Salutami il "guardone"!>> <<Sarà fatto!>> dissi prima di mandargli un bacio e riagganciare.
Alla stazione controllai l'orario del prossimo autobus, ma subito mi resi conto, con grande sconforto, di averlo perso. Mi avviai così verso la fermata del Mini Metrò, un singolare mezzo di trasporto pubblico caratteristico della città di Perugia, a metà tra la metropolitana e il bruco mela.
Dopo essere scesa e aver fatto un tratto di strada a piedi stavo finalmente per varcare la soglia della facoltà, quando, con la coda dell'occhio, notai l'uomo che prima mi fissava alle mie spalle.
Decisi comunque di non farci caso, probabilmente ero solo la solita paranoica, e mi diressi a lezione, proprio come se non avessi notato nulla.
La giornata universitaria poi trascorse normalmente e lo strano incontro di quella mattina non mi tornò in mente fino alla sera, quando tornai a casa e trovai Ileana, la mia sorellina sedicenne, intenta a preparare la cena. <<Che succede Ily? La fine del mondo è davvero così vicina?>> la presi in giro, come ero solita fare quando si metteva ai fornelli <<Spiritosa, mamma e papà sono a cena dai loro amici stasera e visto che non tornavi...>> <<Hai deciso di mandare a fuoco la cucina per attirare la mia attenzione!>> la provocai, rubandole uno dei cubetti di formaggio che stava tagliando.
<<Vedo che sei di buon umore! Forse c'entra qualcosa il fatto che Giacomo sta tornando?>> insinuò, <<Veramente torna Sabato, se tutto va bene!>> risposi con fare scocciato. <<Ah...ma allora il biglietto...?>> <<Quale biglietto?>> chiesi curiosissima, <<C'era un biglietto per te oggi nella cassetta della posta, te l'ho lasciato sulla scrivania>>.
Senza indagare oltre, salii di corsa le due rampe di scale che portavano al piano di sopra dove si trovavano le camere, accesi la luce della mia stanza e presi il biglietto. Non era scritto a mano, ma stampato, e nel momento stesso in cui lessi quelle parole sentii il sangue affluirmi alle guance e le ginocchia deboli: <<Sono più vicino di quanto pensi.>> c'era scritto.
venerdì 30 settembre 2011
1X00 Pilot
Il caldo quella sera era quasi insopportabile e la quantità di gente intorno a me rendeva anche i movimenti più semplici di una lentezza e di una difficoltà infinita.
Ero con la mia ragazza, ma lei come al solito mi aveva lasciato per darsi a fitte chiacchiere con il primo conoscente incontrato. Così mi ritrovai solo...finalmente! Io ero realmente interessato al concerto, del resto Carlos Santana nella nostra piccola Perugia non è proprio una cosa che capita tutti i giorni!
Quando sentii le prime note di "Corazon Espinado" non riuscii più a trattenermi e tentai di raggiungere la lunga balconata di piazza Partigiani che affaccia sull'arena S.Giuliana dove era stato allestito il palco, sperando di poter almeno intravedere Carlos e la sua chitarra. Così, una gomitata dietro l'altra, ero quasi riuscito a farmi spazio, quando improvvisamente due persone davanti, spostandosi per andarsene, mi aprirono un varco.
Fu allora che la vidi, proprio alla fine del varco: era lei, non c'era dubbio, riuscivo chiaramente a distinguere la sua figura, anche se mi dava le spalle. L'avrei riconosciuta fra un milione di altre ragazze! Era cambiata, certamente, dall'ultima volta in cui c'eravamo visti, il giorno della consegna dei diplomi. Erano già passati tre anni, anche se a me sembravano tre giorni! Riuscivo comunque a vedere che era diventata ancora più bella di come io la ricordassi: portava un vestitino di cotone leggero, rosso con dei fiorellini bianchi stampati, che terminava prima del ginocchio con tante pieghe. I capelli erano sempre scuri e mossi, ma più lunghi, le erano arrivati a metà schiena, ed avevano più sfumature di rosso rispetto a come li ricordavo. Ma era lei, ne ero sicuro.
Mi avvicinai e notai con piacere che da dove lei si trovava veniva una leggera brezza rinfrescante che fu di non poco sollievo. Il vento le muoveva le pieghe del vestito e le scompigliava i capelli, portandone il dolce profumo familiare fino a me. A quel punto fui ancora più attirato e mentre stavo per toccarle il braccio si girò di scatto e riuscii a vederla finalmente anche in viso: non mi ero sbagliato, Irene era ancora più bella, più donna e meno ragazzina, quella ragazzina che un tempo...
Pensai che ormai mi avesse visto, perchè sfoderò uno dei suoi ampi dolcissimi sorrisi, ma mi ci volle solo un istante per capire che quel sorriso non era per me. Mi sentii spinto da dietro e in un attimo un ragazzo dai capelli chiari si mise fra me e lei e, non so come, riuscì ad arrivarle accanto.
Il ragazzo, più alto di me, ma anche più magro e smilzo, le mise un maglioncino di cotone sulle spalle e le porse una bottiglietta d'acqua e lei lo ringraziò calorosamente baciandolo sulle labbra. Non si era minimamente accorta della mia presenza,presa da lui com'era.
Rimasi a bocca aperta per diversi minuti, forse troppi perchè mi ripresi solo quando un ragazzino mi strattonò per passare e a quel punto Santana era già all'inizio di "Samba pa ti".
Quell'incontro mancato mi lasciò una sensazione di vuoto e d'amarezza che non riuscii a togliermi dalla testa nemmeno nei giorni seguenti.
Fu così che iniziai a cercarla, ovunque, per sempre.
Ero con la mia ragazza, ma lei come al solito mi aveva lasciato per darsi a fitte chiacchiere con il primo conoscente incontrato. Così mi ritrovai solo...finalmente! Io ero realmente interessato al concerto, del resto Carlos Santana nella nostra piccola Perugia non è proprio una cosa che capita tutti i giorni!
Quando sentii le prime note di "Corazon Espinado" non riuscii più a trattenermi e tentai di raggiungere la lunga balconata di piazza Partigiani che affaccia sull'arena S.Giuliana dove era stato allestito il palco, sperando di poter almeno intravedere Carlos e la sua chitarra. Così, una gomitata dietro l'altra, ero quasi riuscito a farmi spazio, quando improvvisamente due persone davanti, spostandosi per andarsene, mi aprirono un varco.
Fu allora che la vidi, proprio alla fine del varco: era lei, non c'era dubbio, riuscivo chiaramente a distinguere la sua figura, anche se mi dava le spalle. L'avrei riconosciuta fra un milione di altre ragazze! Era cambiata, certamente, dall'ultima volta in cui c'eravamo visti, il giorno della consegna dei diplomi. Erano già passati tre anni, anche se a me sembravano tre giorni! Riuscivo comunque a vedere che era diventata ancora più bella di come io la ricordassi: portava un vestitino di cotone leggero, rosso con dei fiorellini bianchi stampati, che terminava prima del ginocchio con tante pieghe. I capelli erano sempre scuri e mossi, ma più lunghi, le erano arrivati a metà schiena, ed avevano più sfumature di rosso rispetto a come li ricordavo. Ma era lei, ne ero sicuro.
Mi avvicinai e notai con piacere che da dove lei si trovava veniva una leggera brezza rinfrescante che fu di non poco sollievo. Il vento le muoveva le pieghe del vestito e le scompigliava i capelli, portandone il dolce profumo familiare fino a me. A quel punto fui ancora più attirato e mentre stavo per toccarle il braccio si girò di scatto e riuscii a vederla finalmente anche in viso: non mi ero sbagliato, Irene era ancora più bella, più donna e meno ragazzina, quella ragazzina che un tempo...
Pensai che ormai mi avesse visto, perchè sfoderò uno dei suoi ampi dolcissimi sorrisi, ma mi ci volle solo un istante per capire che quel sorriso non era per me. Mi sentii spinto da dietro e in un attimo un ragazzo dai capelli chiari si mise fra me e lei e, non so come, riuscì ad arrivarle accanto.
Il ragazzo, più alto di me, ma anche più magro e smilzo, le mise un maglioncino di cotone sulle spalle e le porse una bottiglietta d'acqua e lei lo ringraziò calorosamente baciandolo sulle labbra. Non si era minimamente accorta della mia presenza,presa da lui com'era.
Rimasi a bocca aperta per diversi minuti, forse troppi perchè mi ripresi solo quando un ragazzino mi strattonò per passare e a quel punto Santana era già all'inizio di "Samba pa ti".
Quell'incontro mancato mi lasciò una sensazione di vuoto e d'amarezza che non riuscii a togliermi dalla testa nemmeno nei giorni seguenti.
Fu così che iniziai a cercarla, ovunque, per sempre.
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