lunedì 31 ottobre 2011

1X03 Bianco

Riparlare del giorno dell'incidente mi lasciava sempre addosso un senso di oppressione, così quella sera mi trascinai fuori dalla camera di mia sorella particolarmente angosciata e mi accasciai sul letto, stanca.
Avevo la testa affollata di ricordi di quel giorno, di luci e rumori troppo forti, quindi chiusi gli occhi e mi infilai sotto le coperte, sprofondando fra le lenzuola fino alle orecchie, tentando invano  di scacciare i brutti pensieri.
Senza neanche rendermene conto, qualche istante dopo non ero più nella mia stanza ma in macchina e vicino a me, al volante, c'era mia sorella Irene, tutta presa dalle parole di una canzone che non conoscevo. Io invece ero intenta a guardare, fuori dal finestrino, la pioggia che cadeva pesante rigando il vetro. Le gocce erano così grandi da potervi vedere riflesso il mio viso, mentre il paesaggio dall'altra parte del vetro sembrava sciolto dalla forte pioggia, come fosse fatto di cera.
Irene mi fece una domanda, abbassando distrattamente il volume della radio ed io stavo per rispondere, ma all'improvviso sentii una forte stretta al torace che mi bloccò il respiro. Mi voltai e vidi Irene stringere il volante e urlare in preda al panico. La pioggia faceva slittare le ruote dell'auto che non accennava minimamente a fermarsi. All'improvviso le luci di un'altra auto mi accecarono, sentii un colpo assordante e poi... il nulla... ero immersa nel nulla, inglobata da un'enorme macchia bianca, circondata solo di bianco. Provavo ad aprire gli occhi, ma c'era troppa luce. Con uno sforzo enorme riuscii a dischiudere leggermente le palpebre e fu allora che li vidi: due occhi grandi e imploranti, due enormi occhi grigi mi stavano pregando di non andare, ma il bianco mi risucchiò a sè, portandomi via da quello sguardo.
Mi svegliai di colpo, con la schiena ricoperta da un sottile strato di sudore e il cuore in gola. Mi alzai, scesi in cucina e bevvi un po' d'acqua, ma lanciando un'occhiata veloce all'orologio appeso sopra al lavandino mi accorsi che erano le quattro e trenta del mattino e ciò voleva dire che mancavano ancora quattro ore per la scuola.
La scuola...sembrava una realtà così distante! Nella testa avevo ancora il sogno e l'incidente.
Erano passati molti mesi ormai e ancora non riuscivo a dimenticare, o meglio a ricordare.
L'unica cosa chiara era il bianco e poi la stanza d'ospedale, anch'essa bianca, qualche giorno dopo.
Ricordavo di aver aperto gli occhi e di aver visto i miei genitori e mia sorella che se l'era cavata meglio di me a quanto diceva, anche se credo che il senso di colpa le facesse più male di qualsiasi frattura.
Ricordo che tutti mi stavano attorno e mi accudivano: la causa? Un trauma cranico con conseguente amnesia parziale. In poche parole un bel colpo alla testa si era portato via un mese della mia vita! Tutto ciò che era accaduto nel mese precedente al giorno dell'incidente era sparito, mi sentivo come un computer da cui era stato eliminato un file e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a recuperarlo.
Ovviamente Irene mi aveva poi messa al corrente dei fatti principali accaduti in quel mese, ma non so perchè avevo sempre la sensazione di essermi persa qualcosa, qualcosa di molto importante.
Frugai tra i ricordi, tentai di ripercorrere la mia vita fino a quel punto, ma tutto ciò che vi vedevo era solo e ancora bianco.
Tornai nella mia stanza, certa che non sarei stata capace di riprender sonno.
Mi sedetti davanti allo specchio, presi la spazzola dalla scrivania e cominciai a pettinare i miei capelli arruffati dall'incubo di quella notte, illudendomi che il massaggio provocato dalle morbide setole sul capo potesse risvegliare ricordi perduti.
Quando mia madre entrò in camera per la sveglia mattutina quel giorno, mi trovò già in piedi e pronta per uscire, <<Ileana....sembra che i tuoi capelli siano ancora più biondi oggi! >> mi disse allegra, baciandomi sulla fronte.
Camminavo verso la fermata dell'autobus ancora pensierosa, quando all'improvviso urtai contro qualcosa, o meglio qualcuno. << Mi scusi!>> dissi immediatamente, alzando lo sguardo alla ricerca di un viso cui rivolgere quelle parole, ma ciò che vidi mi ammutolì all'istante: nascosti sotto una cascata di ricci neri, quei due occhi grigi mi fissavano proprio come un anno prima. E crollai a terra.

martedì 11 ottobre 2011

1X02 Prima di dormire

Mi lasciai cadere a peso morto sul letto e il piccolo foglio rettangolare su cui erano scritte quelle parole mi cadde di mano.
Nei due minuti che seguirono mi ritrovai a pensare alle cose più assurde, a come quell'uomo poteva aver trovato il mio indirizzo, a come aveva fatto a seguirmi, arrivai perfino a chiedermi se lo conoscessi già.
Mentre mi sforzavo per cercare di ricordare dove lo avessi già visto, qualcosa colpì la finestra della mia camera. Balzai in piedi in un lampo e mi avvicinai in punta di piedi al davanzale, ma la paura che ancora irrigidiva ogni singolo muscolo del mio corpo mi impedì di aprire la finestra e controllare cos'era stato. Dopo qualche secondo di esitazione udii di nuovo quel tonfo contro i vetri, ma stavolta vidi chiaramente che si trattava di un sassolino. 
La mia stanza affacciava sul retro della nostra piccola casetta, quindi capii che doveva esserci qualcuno in giardino.
Feci un bel respiro, ripresi il controllo della muscolatura, allungai la mano e l'appoggiai sull' anta destra della finestra che emise il solito suono scricchiolante nell'aprirsi. Mi sporsi leggermente e, nonostante il buio, riuscii a vederlo: teneva in una mano un mucchietto di altri sassolini e nell'altra una rosa tutta infiocchettata. Quando si accorse che mi ero affacciata gridò: <<Sorpresa!!>>. <<Mi hai quasi provocato un infarto, lo sai?>> dissi rimproverandolo in modo scherzoso. Giacomo non era mai stato un tipo da sorprese, era più del genere "monotono e prevedibile". Gli avevo sempre fatto notare questo lato noioso del suo carattere e molte volte avevo sperato che mi sorprendesse in qualche modo, ma certamente non quella sera!
<<Credi che i tuoi capelli da sciolti ci arrivano fino a qui o devo arrampicarmi da solo fin lassù?>> <<Divertente...dai, vieni che ti apro la porta!>> gli risposi fingendo impassibilità di fronte a quel suo gesto di galanteria che ovviamente mi aveva sciolto il cuore.
Scendendo le scale sentii provenire dalla cucina la voce di Ileana che mi urlava: <<Quindi preparo per tre?>>, <<Si!>> le dissi senza pensarci. Aveva sentito Giacomo introdursi furtivamente nel nostro giardino e scagliare sassolini contro la mia finestra o era stata addirittura la sua complice? 
Aprii la porta e mi ritrovai la rosa rossa infiocchettata a due centimetri dal naso, <<Grazie mio eroe!>> scherzai, continuando sulla scia del cavalleresco mentre afferravo il bellissimo fiore. Stavo giusto per voltarmi verso l'entrata di casa, quando mi sorprese di nuovo afferrandomi e togliendomi il fiato con un bacio.
<<Come mai sei già qui? Non che mi dispiaccia, ovviamente..>> ero ansiosa di chiederglielo da quando lo avevo visto nel mio giardino, <<Siamo riusciti a risolvere con la controparte senza andare in tribunale, ma ho deciso di non dirti niente e di farti una sorpresa, visto che mi accusi sempre di non fartele!>> replicò giustamente, ma poi aggiunse: <<Però non ce l'ho fatta a resistere fino alla fine e ho voluto darti un indizio...>>. <<Ma allora era tuo il biglietto??>> chiesi sentendomi finalmente sollevata, ma anche un po' sciocca. <<Certo, non lo avevi capito?>> <<Veramente no, sembrava più la minaccia di un serial killer che un biglietto d'amore!>> e insieme ridemmo di gusto per circa un quarto d'ora, quando finalmente mia sorella riuscì a mettere insieme quanto di commestibile avesse trovato in casa e ci servì la cena.
Più tardi, quando Giacomo se n'era già andato ed io stavo per mettermi a letto, Ileana entrò nella mia stanza e si sedette accanto a me sul letto. <<Tutto bene stasera?>> mi domandò, <<Si, perchè?>> purtroppo sapeva sempre quando c'era qualcosa che non andava, me lo leggeva dentro. <<Eri strana prima a cena e sono sicura che non era per la sorpresa di Giacomino...>> insinuò, sorridendo dolcemente. <<Si, infatti...mi è successo di nuovo...>> <<Ah...e come?>> mi chiese con tono preoccupato, <<C'era un uomo che mi fissava in autobus stamattina e quando sono arrivata all'università era ancora dietro di me...mi sono detta di non farci caso, ma poi quando ho visto quel biglietto stasera ho frainteso e mi ha preso il panico! Sono proprio ridicola!>>. <<Non dire così>> mi consolò, << a me qualche giorno fa è successa la stessa cosa, lo sai, e sai anche che è normale, insomma, è passato solo un anno dall'incidente...>>.
Già, l'incidente. Una settimana dopo sarebbe stato già un anno. Forse era stato proprio quell'evento a cambiare per sempre le nostre vite, il problema era che allora ancora non sapevamo se il cambiamento sarebbe stato positivo o irrimediabilmente negativo.

sabato 1 ottobre 2011

1X01 Una giornata come tante

Non mi era mai piaciuto viaggiare in autobus; odiavo dover uscire di casa ore prima per non rischiare di perderlo, odiavo le corse frenetiche cui ero costretta quando capivo che si, stavo per perderlo, ma soprattutto odiavo i sedili impregnati di quel fetore tipico di quando più odori si stratificano uno sopra l'altro.
C'era una cosa però che mi piaceva fare quelle poche volte in cui la mia cara e adorata macchinina faceva i capricci e mi costringeva a servirmi del mezzo pubblico: inventare. Mi divertivo ad osservare gli altri passeggeri e ad immaginare per ognuno una vita, una professione e il motivo che l'avesse spinto a prendere l'autobus quel giorno.
Una volta, durante uno dei nostri primi appuntamenti, avevo raccontato del mio "gioco del passeggero" anche a Giacomo e lui aveva reagito in modo del tutto inaspettato: non si era messo a ridere nè a prendermi in giro, ma aveva semplicemente detto col suo solito tono dolce e un po' insicuro <<Voglio provare anch'io!>>.
Da allora il "mio" strano giochetto era diventato il "nostro" gioco di coppia preferito. Ed era proprio quello che stavamo facendo in quella soleggiata mattina di Settembre, anche se per la prima volta con una variante: eravamo a telefono. Io avevo appena messo piede sul bus linea B, il primo di una serie che mi avrebbe condotta dritta alla facoltà di lettere, lui invece era a Roma già da una settimana per una delle sue prime cause da assistente avvocato. Da quando c'eravamo messi insieme, un anno e tre mesi prima, non eravamo mai stati tanto tempo separati e la cosa, per quanto tentassi di nasconderlo, mi pesava abbastanza.
<<Irene ci sei?>> chiese con tono preoccupato Giacomo dall'altra parte del telefono, <<Si, scusa amore...che stavamo dicendo?>> gli risposi fingendo disinvoltura dopo essermi di nuovo persa nei miei pensieri. <<Mi stavi descrivendo la signora col cappello che parla da sola...ho già un finale perfetto per la sua storia!>>, <<Ah, si...>> dissi, ma in realtà proprio qualche istante prima la mia attenzione era caduta su un altro passeggero, un uomo in giacca e cravatta e dai capelli mossi e scuri che continuava a fissarmi.
<<C'è un tipo che non la smette di guardarmi!>> dissi, tentando di sembrare più indignata che preoccupata, <<E tu digli che sei al telefono col tuo ragazzo!>> mi rispose in tono scherzoso, il che mi fece capire che ero stata brava a camuffare col tono di voce il senso d'inquietudine che quello sguardo addosso mi provocava. <<Si, certo, e magari gli dico anche che vuoi fare a pugni via cellulare!>>, <<No questo no, lo sai che non sono un tipo violento!>> continuò sempre scherzando. <<Ora vado, sono arrivata alla stazione e devo scendere. Ci vediamo Sabato allora?>> <<Penso di si. Salutami il "guardone"!>> <<Sarà fatto!>> dissi prima di mandargli un bacio e riagganciare.
Alla stazione controllai l'orario del prossimo autobus, ma subito mi resi conto, con grande sconforto, di averlo perso. Mi avviai così verso la fermata del Mini Metrò, un singolare mezzo di trasporto pubblico caratteristico della città di Perugia, a metà tra la metropolitana e il bruco mela.
Dopo essere scesa e aver fatto un tratto di strada a piedi stavo finalmente per varcare la soglia della facoltà, quando, con la coda dell'occhio, notai l'uomo che prima mi fissava alle mie spalle.
Decisi comunque di non farci caso, probabilmente ero solo la solita paranoica, e mi diressi a lezione, proprio come se non avessi notato nulla. 
La giornata universitaria poi trascorse normalmente e lo strano incontro di quella mattina non mi tornò in mente fino alla sera, quando tornai a casa e trovai Ileana, la mia sorellina sedicenne, intenta a preparare la cena. <<Che succede Ily? La fine del mondo è davvero così vicina?>> la presi in giro, come ero solita fare quando si metteva ai fornelli <<Spiritosa, mamma e papà sono a cena dai loro amici stasera e visto che non tornavi...>> <<Hai deciso di mandare a fuoco la cucina per attirare la mia attenzione!>> la provocai, rubandole uno dei cubetti di formaggio che stava tagliando.
<<Vedo che sei di buon umore! Forse c'entra qualcosa il fatto che Giacomo sta tornando?>> insinuò, <<Veramente torna Sabato, se tutto va bene!>> risposi con fare scocciato. <<Ah...ma allora il biglietto...?>>  <<Quale biglietto?>> chiesi curiosissima, <<C'era un biglietto per te oggi nella cassetta della posta, te l'ho lasciato sulla scrivania>>. 
Senza indagare oltre, salii di corsa le due rampe di scale che portavano al piano di sopra dove si trovavano le camere, accesi la luce della mia stanza e presi il biglietto. Non era scritto a mano, ma stampato, e nel momento stesso in cui lessi quelle parole sentii il sangue affluirmi alle guance e le ginocchia deboli: <<Sono più vicino di quanto pensi.>> c'era scritto.